9
Louis
Martin-Chauffier
Si trova in una
posizione intermedia tra i testimoni minori, ai
quali è superiore in quanto cerca di
dominare o per lo meno di spiegare dottamente
gli avvenimenti che ha vissuto, e i grandi
calibri come David Rousset, di cui non ha
né la precisione, né la
minuziosità . Per queste ragioni, e
tenuto conto del posto che occupa nella
letteratura e nel giornalismo del dopoguerra,
non poteva essere classificato né tra i
primi né tra i secondi.
E un letterato di
mestiere.
Appartiene a quella
categoria di scrittori che si chiamano impegnati
. Si impegna, ma si disimpegna altrettanto
spesso -- per reimpegnarsi -- perché
l'impegno è per lui una seconda natura.
Lo si è conosciuto comunisteggiante --
sul tardi -- e adesso è anticomunista.
Probabilmente, del resto, per le stesse ragioni
e nelle stesse circostanze: la moda.
Non poteva non
testimoniare sui campi di concentramento .
Anzi-tutto perché lo scrivere è la
sua ragione sociale. Poi, perché doveva
dare a se stesso una spiegazione
dell'avvenimento che l'aveva colpito. Ne ha
fatto profittare gli altri. Senza dubbio non si
è accorto che parlava come tutti gli
altri, e suppergiù con la stessa maniera
di esprimersi.
Titolo della
testimonianza: L'Homme et la Bête,
1948, ed. Gallimard.
Originalità: ha
visto le scatole di cartone che contenevano la
margarina -- estratta dal carbon fossile,
s'intende -- che ci veniva distribuita, con
sopra la scritta: Garantito senza materie
grasse» (p. 95. Già
citato).
Testimonianza che
è un lungo ragionamento riferito a fatti
che l'autore caratterizza prescindendo da
qualsiasi riflessione morale o di altra natura
.
Tipo di
ragionamento
Prima di essere
deportato a Neuengamme, Louis Martin-Chauffier
ha soggiornato a Compiègne-Royallieu. Vi
ha conosciuto il capitano Douce, che era allora
decano del campo. Ecco il giudizio che dà
di lui:
- Il capitano Douce,
decano» del campo e zelante servitore di
coloro che gli avevano affidato questo posto
scelto, appollaiato su un tavolo, faceva il
suo conto ad alta voce, fumando senza sosta
delle sigarette che, contrariamente al
regolamento, a noi erano state rifiutate (p .
51).
A Neuengamme ha
conosciuto André che era uno dei primi
personaggi del campo, funzionario autorevole
scelto dalle SS tra i detenuti. Ecco il ritratto
che ne fa:
Tipo tra i
più sospetti, strettamente sorvegliato
dalle SS, per poter sostenere la parte che
aveva scelta e non senza difficoltà
ottenuto di rappresentare: era costretto a
parlare rudemente ai detenuti, a mostrarsi
brutale a parole, insensibile e inflessibile
. Sapeva che la minima debolezza avrebbe
provocato una denuncia a suo carico e la sua
immediata sostituzione. La maggioranza dei
detenuti si lasciavano ingannare dalle sue
maniere credendolo complice delle SS, loro
creatura e nostro nemico. Dato che era
responsabile delle partenze e delle
assegnazioni dei posti, gli si imputavano
tutti quelli che erano spediti ai Kommando
senza tener conto delle preghiere, delle
lagnanze, delle recriminazioni...Quando un
migliaio di deportati dovevano partire in
Kommando e soltanto 990 ne venivano infornati
nei vagoni bestiame, non ci si immagina tutte
le astuzie che André aveva usato,
tutti i rischi che aveva corso, per sottrarre
dieci uomini a una probabile morte. Lui
stesso si sapeva generalmente detestato e
sospettato. Aveva scelto di esserlo,
preferendo alla stima il servizio
reso.
L'André che
io ho conosciuto accettava con pari
tranquillità la cordialità
minacciosa delle SS, la servilità
complice dei Kapo e dei capi Block,
l'ostilità della massa . Credo che
avesse superato l'umiliazione, sostituito la
propria virtù con una specie di
purezza glaciale, estranea a lui stesso.
Aveva rinunciato al suo essere a favore di un
dovere che, secondo lui, meritava questa
sottomissione» (pp. 167-169).
Così, di due
uomini che svolgono le stesse funzioni, uno ha
diritto alla severità laconica e al
disprezzo dell'autore, mentre l'altro gode non
solo della sua indulgenza piena di approvazione,
ma anche della sua ammirazione. Se si
approfondisce, si apprende, leggendo lo scritto,
che il secondo ha reso un apprezzabile servizio
a Martin-Chauffier, in una circostanza che
metteva la sua vita in pericolo. Non ho
conosciuto il capitano Douce a Compiègne,
ma è molto probabile che, a differenza di
André, il suo solo torto sia di non aver
saputo scegliere le persone alle quali rendere
dei servizi -- perché di certo anche lui
aveva i suoi clienti -- e di avere delle
conoscenze letterarie troppo limitate per sapere
che tra i decani della letteratura vi era un
certo numero di Martin-Chauffier, nonché
Martin-Chauffier stesso.
Non sarà
superfluo aggiungere che questo ragionamento
porta a quanto segue:
Ho sempre
ammirato, con un certo spavento e un po' di
repulsione, COLORO che, per servire la loro
patria o una causa che stimano giusta,
scelgono tutte le conseguenze della
duplicità: o la diffidenza sprezzante
dell'avversario che li utilizza, o la sua
fiducia SE EGLI LI INGANNA; e il disgusto dei
compagni di combattimento, che vedono in LUI
un traditore; e l'abietto cameratismo degli
autentici traditori o dei semplici venduti
che vedendoLO dedito allo stesso lavoro, LO
considerano come UNO di loro . Tutto
ciò richiede una rinuncia a se stesso
che è superiore a me, un artificio che
mi confonde e mi turba (p. 168). (1)
Ci viene fatto di domandarci che cosa aspettino
gli avvocati di Pé-tain per valersi di
questo argomento, che trae tutto il suo sapore
dall'essere uscito dalla penna di uno degli
esponenti più in vista del
criptocomunismo. Se la moda tornerà al
pétainismo, Martin-Chauffier, in ogni
modo, potrà trarne una certa fierezza, e
forse...un certo profitto.
Altro tipo di
ragionamento
Al campo l'autore
conversa con un medico che gli dice:
Attualmente
nel campo c'è un numero di ammalati
tre volte superiore a quanti io ne possa
accogliere . La guerra sarà finita fra
cinque o sei mesi al più tardi. Per me
si tratta di far stare in piedi il più
gran numero possibile di uomini. Ho scelto.
Lei, con certi altri, si stanno rimettendo
lentamente. Se io li rimandassi al campo in
questo stato e in questa stagione (si era
alla fine di dicembre), morirebbero fra tre
settimane. Li trattengo. E -- mi ascolti bene
-- lascio entrare quelli che non sono molto
gravemente indeboliti e che un soggiorno
all'infermeria può salvare. Quelli
ormai condannati LI RIFIUTO.
(2)
Non posso
permettermi il lusso di accoglierli per
offrire loro una morte tranquilla. Ciò
che assicuro, è di preservare quelli
vitali. Gli altri morranno dieci giorni
prima: ad ogni modo, sarebbero morti sempre
troppo presto. Pazienza, io non posso
considerare il sentimento, ma la convenienza.
Questa è la mia parte.
Tutti i miei colleghi sono d'accordo con me,
questa è la via giusta ...Ogni volta
che rifiuto l'ingresso a un moribondo che mi
guarda con stupore, con spavento, con
rimprovero, vorrei spiegargli che io cambio
la sua vita perduta con una vita che forse
potrò salvare. Lui non
capirebbe, ecc...(p. 190).
Sul posto avevo
già sperimentato che si poteva entrare
all'infermeria ed esservi curati --
relativamente -- per motivi fra i quali la
malattia o la sua gravità erano a volte
soltanto secondarie: intermediari,
raccomandazioni, necessità politiche,
ecc. Attribuivo la cosa alle condizioni generali
della vita.
Se, oltre a questo, dei
medici detenuti hanno fatto il ragionamento che
Martin-Chauffier attribuisce al suddetto,
conviene registrarlo come argomento filosofico e
farlo entrare come elemento causale, insieme al
sadismo» delle SS, nella spiegazione del
numero dei morti . Sì, perché ad
un medico occorrono molta scienza, sicurezza e
anche presunzione per poter stabilire in pochi
minuti chi si può salvare e chi
no.
E ho paura che, se le
cose stavano così, i medici, fatto questo
primo passo verso un nuovo concetto del
comportamento professionale, siano
progressivamente arrivati a farne un secondo,
domandandosi non più chi
può, ma chi deve essere
salvato e chi non deve esserlo, e a
risolvere questo caso di coscienza tramite
imperativi extraterapeutici.
Il regime dei campi
Il trattamento
che le SS ci infliggevano era l'attuazione di
un piano concertato in alte sfere . Esso
poteva comportare delle raffinatezze, degli
abbellimenti, delle fioriture, dovuti
all'iniziativa, alla fantasia, ai gusti del
capo del campo: il sadismo ha le sue
sfumature. Il piano generale era stabilito.
Prima di ucciderci o di farci morire,
occorreva avvilirci (p. 85).
Durante l'occupazione
esisteva in Francia un'Associazione delle
famiglie dei Deportati e Internati politici . Se
una famiglia si indirizzava ad essa per avere
informazioni sulla sorte del suo deportato,
riceveva, a sua volta, un rapporto proveniente
da quella alta sfera» tedesca.
Ecco il rapporto (3) :
Campo di
Weimar . Il campo è situato a 9
km. da Weimar e vi è collegato da una
strada ferrata. E a 800 m. di altitudine.
Comporta tre recinti di filo spinato
concentrici. Nel primo recinto, le baracche
dei prigionieri; fra il primo e il secondo
recinto le officine e i laboratori dove si
fabbricano accessori per apparecchi
radiofonici, pezzi meccanici ecc...
Fra il secondo e il terzo recinto vi è
una distesa di terreno non fabbricato che si
sta finendo di disboscare e dove si
utilizzano le strade del campo e della
piccola ferrovia.
Il primo recinto di filo spinato è
elettrificato e scaglionato di torrette in
cima alle quali stanno tre uomini armati. Non
vi sono sentinelle al secondo e al terzo
recinto, ma, nel recinto delle officine,
c'è una caserma di SS che durante la
notte fanno dei pattugliamenti con i cani,
così come nel terzo recinto.
Il campo si estende su 8 kmq e contiene circa
30. 000 internati. All'inizio del regime
nazista, vi erano internati degli oppositori.
Della sua popolazione, metà è
francese, metà straniera, tedeschi
antinazisti, ma che restano tedeschi e che
forniscono la maggioranza dei capi block. Ci
sono anche dei russi, fra i quali degli
ufficiali dell'Armata Rossa, degli ungheresi,
dei polacchi, dei belgi, degli olandesi,
ecc.
Il regolamento del campo è il
seguente:
Ore 4,30: sveglia, toeletta sorvegliata a
torso nudo, lavaggio del corpo.
Ore 5,30: 500 cm cubici di zuppa o
caffè, con 450 grammi di pane (alle
volte hanno meno pane, ma hanno una razione
di patate di buona qualità,
abbondante); 30 grammi di margarina, una
rotella di salsiccia e un pezzo di
formaggio.
Ore 12: un caffè.
Ore 18,30: un litro di buona zuppa densa.
La mattina, alle sei, partenza per il lavoro.
Il raduno viene fatto secondo l'impiego,
l'officina, la cava, la varietà dei
lavori nei boschi, ecc...In ogni
distaccamento gli uomini, si piazzano per
file di cinque e si tengono per il braccio
perché le file siano ben allineate e
separate. Poi, si parte con la banda in testa
(formata da 70 a 80 suonatori, internati in
uniforme: pantaloni rossi, giacca blu con
paramenti neri).
Lo stato sanitario del campo è molto
buono. Alla sua testa è il Prof.
Richet, deportato. Visita medica tutti i
giorni. Vi sono numerosi medici,
un'infermeria e un ospedale, come al
reggimento. Gli internati portano l'uniforme
dei forzati tedeschi in panno artificiale
relativamente caldo. La loro biancheria
è stata disinfettata all'arrivo. Hanno
una coperta ogni due uomini.
Non vi è cappella al campo. Vi sono
tuttavia numerosi preti fra gli internati, i
quali, però, generalmente hanno celato
il loro stato religioso. Questi preti
riuniscono i fedeli per conversazioni,
recitazione di rosari, ecc...
Tempo libero e passatempi. Libertà
completa nel campo il pomeriggio della
domenica. Questa serata è allietata da
rappresentazioni date da una compagnia
teatrale organizzata dagli internati. Cinema,
una o due olte la settimana (film tedeschi).
Bei concerti dati dall'orchestra dei
prigionieri.
Tutti i prigionieri sono d'accordo nel
trovare che stanno meglio a Weimar che non a
Fresnes o nelle prigioni francesi dove sono
stati.
Ricordiamo alle famiglie dei deportati che il
bombardamento delle officine di Weimar, che
è avvenuto verso la fine di agosto,
non ha fatto nessuna vittima fra i deportati
del campo.
Ricordiamo anche che la maggioranza dei treni
partiti da Compiègne e da Fresnes,
nell'agosto 1944, erano diretti a Weimar .
Jean Puissant, che ha
citato questo testo, lo fa seguire da questo
giudizio: monumento di frode e di
menzogne.
Evidentemente, è
scritto in stile benevolo . Non vi si dice che i
pezzi staccati di meccanica che si fabbricano
nelle officine di Buchenwald, sono delle armi.
Non vi si parla delle impiccagioni per
sabotaggio, degli appelli e controappelli, delle
condizioni di lavoro, delle punizioni corporali.
Non vi si precisa che la libertà della
domenica pomeriggio è limitata dagli
imprevisti della vita di quartiere, né
che, se i preti riuniscono i loro fedeli per
delle conversazioni e delle preghiere, che
l'ambiente potrebbe assimilare a complotti, lo
fanno clandestinamente e a rischio di crudeli
complicazioni. Vi si mente anche quando si
pretende che i prigionieri vi si trovano meglio
che nelle prigioni francesi, che il
bombardamento dell'agosto 1944 non ha fatto
vittima alcuna fra gli internati, o che la
maggioranza dei treni partiti da
Compiègne o da Fresnes in quella data
erano diretti a Weimar.
Ma, così
com'è, questo testo è più
vicino alla verità che non la
testimonianza di Fra' Birin, specie per
ciò che riguarda il cibo . E rimane il
fatto che è un riassunto del regolamento
del campo così come fu stabilito nelle
sfere dirigenti naziste. Che non sia stato
applicato è cosa certa. La storia
dirà perché. Probabilmente,
ciò che essa terrà per causa
principale sarà anzitutto la guerra, poi
il principio dell'amministrazione del campo
tenuta dagli stessi detenuti, e anche le
alterazioni che, in un'amministrazione fatta di
gerarchie, tutti gli ordini subiscono scendendo
dall'alto verso il basso. E così che
avviene al reggimento, dove gli ordini del
colonnello vengono trasmessi alle truppe
dall'aiutante e pesa sul caporale la
responsabilità della loro esecuzione:
tutti sanno che, in una caserma, è
l'aiutante che è pericoloso, non il
colonnello. Così è in Francia dei
regolamenti di amministrazione pubblica
riguardanti le colonie: sono redatti in uno
spirito che concorda col quadro della vita nelle
colonie che è fatto da tutti i maestri di
tutte le scuole di villaggio: mettono in
evidenza la missione civilizzatrice della
Francia, eppure bisogna leggere Louis-Fernand
Céline, Julien Blanc o Félicien
Challaye per avere un'idea esatta della vita che
i militari del nostro impero coloniale fanno
fare ai civili indigeni, per conto dei
coloni.
Per parte mia, sono
persuaso che, entro i limiti risultanti dal
fatto della guerra, nulla impediva ai detenuti
che ci amministravano di fare della vita di un
campo di concentramento qualcosa che avrebbe
potuto rassomigliare assai più da vicino
al quadro che i tedeschi presentavano per
interposte persone alle famiglie che chiedevano
informazioni .
Cattivi
trattamenti
Ho visto dei
miei disgraziati compagni, colpevoli soltanto
di avere braccia deboli, morire sotto i colpi
che erano loro inferti dai detenuti politici
tedeschi promossi capofficina e divenuti
complici dei loro antichi avversari (p . 92).
Segue la
spiegazione:
Questi bruti,
nel colpire, non avevano da principio
l'intenzione di uccidere; tuttavia
uccidevano, in un eccesso di gioioso furore,
con gli occhi iniettati, il viso scarlatto e
la bava alla bocca, perché non
potevano fermarsi: avevano bisogno di andare
fino in fondo al loro piacere .
Si tratta di un fatto
che, caso straordinario, è attribuito
senza nessun raggiro ai detenuti . Non si sa
mai: è possibile che ci siano persone che
uccidono in un eccesso di gioioso furore» e
che non hanno altro scopo fuor che di andare
fino in fondo al loro piacere». Nel mondo,
se non normale, per lo meno abituale e ammesso
per tradizione, ci sono degli anormali:
può ben darsi che ve ne siano anche in un
mondo dove tutto è anormale. Ma io
inclino piuttosto a credere che se un Kapo, un
capo Block o un decano del campo si lasciavano
andare fino a questi estremi, obbedivano a
incentivi dovuti a complessi più
comprensibili: il bisogno di vendetta, il
desiderio di piacere ai padroni che avevano
affidato loro un posto scelto, la preoccupazione
di conservarlo a tutti i costi, ecc. Aggiungo
anche che, se erano brutali, generalmente
evitavano di causare la morte di un uomo, cosa
che poteva procurar loro delle noie con le SS,
almeno a Buchenwald e a Dora.
Nonostante questa
spiegazione, bisogna dare atto a
Martin-Chauf-fier di aver citato ancora due
fatti il cui carattere criminale non può
essere in alcun modo considerato come risultante
dalla attuazione di un piano concertato in alte
sfere»:
Ogni settimana
il Kapo dell'infermeria passava la visita
(non ne sapeva o capiva nulla), esaminava i
fogli delle temperature i cui margini erano
coperti di osservazioni relative a una
diagnosi preoccupante, guardava i malati: se
la loro faccia non era simpatica li
dichiarava uscenti, qualunque fosse il loro
stato . Il medico cercava di prevenire o di
orientare la sua decisione, che era difficile
prevedere, perché il Kapo, per il
quale le impressioni tenevano il posto della
scienza, era inoltre un lunatico (p.
185).
La corrente d'aria polare, la toeletta
obbligatoria a torso nudo erano misure
d'igiene . Ogni procedimento di distruzione
veniva in tal modo ricoperto da un'impostura
sanitaria. Questo si rivelava uno dei
più efficaci. Tutti quelli che
soffrivano di qualche male ai polmoni
morivano in pochi giorni (p. 192).
Nulla obbligava il Kapo
ad adottare questo comportamento, né gli
Stubendienst, Kalifaktor e Pfleger a far
soffiare questa corrente d'aria polare, o a
costringere alla toeletta a torso nudo, con
acqua fredda, e senza distinzione, i disgraziati
affidati alle loro cure . Eppure lo facevano,
nell'intento di piacere alle SS, che però
ignoravano quasi sempre la cosa, e per
conservare un posto che salvava loro la
vita.
Si sarebbe gradito che
Martin-Chauffier avesse rivolto il suo atto di
accusa contro di essi con altrettanto vigore
quanto contro le SS, o che almeno avesse diviso
equamente le responsabilità .
Un testimone
qualificato
Il periodo della
pubblicazione di questo libro in Francia non mi
ha dato la possibilità di utilizzare le
deposizioni raccolte e, molto più tardi,
pubblicate dalla Fondazione Hoover.
Qui sotto segue quanto
ha scritto Dominique Canavaggio (ex redattore
capo di &laqno;Temps de Paris» e genero del
pastore Boegner) su Martin-Chauffier:
Louis
Martin-Chauffier -- che più tardi
doveva essere catturato e mandato ad
Auschwitz dalla Gestapo -- era collaboratore
di &laqno;Sept Jours», un settimanale di
Jean Prouvost. Una mattina, quando mi trovavo
a Lione, egli venne da me con la faccia
contorta dalla paura:
-- Mia figlia
è malata di tubercolosi; il suo stato
è molto grave: ho tentato di farla
curare in Francia; è impossibile: qui
non vi è nessun posto che unisca
l'altitudine necessaria, comfort ed
alimentazione; soltanto un soggiorno in
Svizzera potrebbe salvarla. Crede lei di
poter ottenere da Laval il
passaporto?
Gli promisi di
tentare anche l'impossibile e, ritornato, mi
recai immediatamente dal capo del governo di
Vichy. Impossibile» era probabilmente la
parola giusta, poiché dal novembre
1942 i tedeschi controllavano entrata e
uscita alle frontiere svizzere; vale a dire
che non lasciavano passare se non poche
personalità ufficiali.
Inoltre, il nome di
Martin-Chauffier già
(4)
allora era loro
un po' sospetto e non adatto a facilitare le
cose. Laval ascoltò la mia preghiera
senza interrompermi; alla fine
disse:
--
Martin-Chauffier?...E probabilmente quello
che ai tempi di Monaco ha scritto articoli
nei quali richiedeva che mi si mandasse alla
forca?
-- Sì, signor
Presidente, è proprio
quello.
Vi fu un momento di
silenzio. Il mio sguardo resistette al suo.
Finalmente, egli disse:
-- Gli dica che sua
figlia andrà in Svizzera...Regoli lei
le formalità con
Bousquet...
-- Grazie, signor
Presidente, ero sicuro che lei l'avrebbe
fatto: ma non sono sicuro che
Martin-Chauffier le sarà
grato...
Un suo movimento mi
trattenne:
-- Non pretendo
gratitudine; lo faccio per umano senso del
dovere (Dominique Canavaggio,
giornalista) .
Come si vede, Martin-Chauffier era
particolarmente adatto a diventare una delle
teste pensanti del movimento della resistenza in
Fran-cia. Egli onora» della sua
collaborazione (episodica) anche &laqno;Le
Figaro», &laqno;Paris-Presse» e &laqno;Paris-Match».
Il manuale biografico Pharos scrive di
lui che, prima della guerra, ha fatto conoscere
chiaramente le sue opinioni politiche e, poi,
durante la guerra civile in Spagna, ha
confermato le sue simpatie per il comunismo: nel
1937 aveva fatto un viaggio nell'URSS. Nel 1945
lo troviamo, naturalmente, di nuovo dalla parte
dei comunisti nel famoso Comité
National des Ecrivains e tra i più
rabbiosi persecutori.
Senza dubbio, egli
dovette cercare di farsi perdonare quello che
era avvenuto tra le due date. Perché oggi
Martin-Chauffier -- come pure Eugen Kogon e
David Rousset -- è in rapporti tiepidi (o
finge di esserlo) con i comunisti, il cui gioco
ha fatto e continua a fare.
Per quanto
tempo?
Se pongo questa domanda
è perché ho le mie buone ragioni;
ed eccole:
Il 18 marzo 1953,
quando ero stato condannato in seconda istanza
dalla Corte di Appello di Lione, Jean Paulhan,
poi eletto membro dell'Accademia francese, aveva
voluto esprimermi la sua comprensione: 100. 000
franchi di ammenda, 800 . 000 di danni e 8
giorni di prigione con la condizionale,
ciò gli era sembrato spaventoso e, meno
abituato di me a questo genere di avventure, non
sapeva, al contrario di me, che questa condanna
sarebbe stata sicuramente e automaticamente
cancellata dalla Corte di Cassazione. Ecco
ciò che mi diceva:
Ho seguito (da
lontano) il Suo processo e l'iniquo giudizio
che lo ha concluso . Il Suo libro era bello e
vorrei averlo scritto io. Forse è a
esso e all'evidente assurdità delle
querele che Le sono state mosse che io debbo
di non essere stato messo sotto processo. (5)
In quanto a Martin-Chauffier, che in effetti
conosce assai poco la grammatica, nel '43 si
occupava di procurare ai tedeschi (presso la
Casa Béraud, metallurgica, Rue
Grimaldi 315, Lione, al capitano Schwemm)
metalli ferrosi e non ferrosi. Sarebbe questo
che gli dà titolo a parlare. Le invio
tutta la mia comprensione e simpatia. Jean
Paulhan.
Testimone dell'accusa
nel mio processo, Martin-Chauffier non aveva
osato venire ad affrontarmi per deporre e lo si
comprende facilmente, tuttavia aveva mandato al
presidente un telegramma nel quale reclamava una
condanna spietata» .
Morale: Oh! questi
testimoni, -- chiedo scusa: Oh! questi
resistenti!
Ed è tutto
.
NOTE
1. Questa citazione non è mutilata,
nonostante l'errore di sintassi che potrebbe
farlo credere e che è messo in evidenza
dalle parole in maiuscolo . Ne Le Droit de
vivre» del 15 settembre 1950
Martin-Chauffier ha preteso che questo testo era
scritto correttamente, con le seguenti parole: E
inutile aggiungere che l'errore di sintassi non
esiste -- altra falsità -- ma che un
punto e virgola, che il sig. Rassinier ha
infilato al posto di due punti che io avevo
messo, può ingannare chi non è
molto sicuro della sua grammatica» .
Perché Martin-Chauffier è sicuro
che un chiodo scaccia l'altro . Ed è
troppo sicuro della sua grammatica»
perché gli si possa facilmente parlare
dei rapporti che esistono tra il verbo e il suo
soggetto o il pronome e il suo antecedente .
Morale della favola: un signore che esce dalla
Ecole des Chartes non è, evidentemente,
obbligato a sapere quello che si esige da un
ragazzo di 10 anni per ammetterlo alla 6a . Non
volendo cavillare abbiamo ristabilito i due
punti reclamati da Martin-Chauffier e che un
semplice refuso aveva effettivamente sostituiti
con un punto e virgola nella prima edizione: il
lettore che riuscirà a scoprire come
questo abbia cambiato i termini della questione
è pregato di scrivercelo (contro
ricompensa).
2. Evidenziato nell'originale .
3. Per quanto ne so, non è stato citato
che da Jean Puissant nel suo libro La Colline
sans oiseaux ( E d. du Rond Point,
1945), monografia onesta e minuziosa -- la
migliore testimonianza sui campi 4. Dominique
Canavaggio dice a buona ragione
già», perché egli lo era da
sempre.
5. Il 20 febbraio 1952 aveva scritto una
Lettera aperta ai Direttori della Resistenza
(Gallimard, Parigi) nella quale diceva le
sue quattro verità a quella fauna, e che
aveva prodotto nel seno di questa tanto
scompiglio quanto Le Mensonge
d'Ulysse.
|