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Un brulichio
di umanità diverse alle porte
dell'Inferno
Le sei del mattino, a
occhio e croce. Siamo lì, una ventina di
uomini di tutte le età e di tutte le
condizioni, tutti francesi, bizzarramente
addobbati dei più inverosimili orpelli e
tutti seduti, buoni buoni, attorno ad un gran
tavolo a cavalletto. Non ci conosciamo e non
cerchiamo di conoscerci. Muti o quasi, ci
contentiamo di squadrarci e di cercare,
benché con pigrizia, di indovinarci l'un
l'altro. Sentiamo che, legati ad una sorte ormai
comune, siamo destinati a vivere insieme una
prova dolorosa e che dovremo pur rassegnarci a
darci in balia l'uno dell'altro, ma ci
comportiamo come se volessimo ritardarne il
momento quanto più possibile: il ghiaccio
stenta a rompersi.
Assorti ciascuno in se
stesso, cerchiamo di risollevare i nostri
spiriti, di capire quanto ci è accaduto:
tre giorni e tre notti in cento nel vagone, la
fame, la sete, la pazzia, la morte; lo sbarco
nella notte, sotto la neve, fra lo schioccare
dei revolver, gli urli degli uomini e l'abbaiare
dei cani, sotto i colpi degli uni e le zanne
degli altri, la doccia, la disinfezione, la
tinozza al petrolio», ecc... Ne siamo tutti
intontiti. Abbiamo l'impressione di aver
attraversato una No man's land, di
prendere parte ad una corsa ad ostacoli
più o meno mortali, graduati con arte e
minuziosamente dosati.
Dopo il viaggio, e
senza intermezzo di sorta, una lunga fila di
sale, di uffici e di corridoi sotterranei,
popolati da strani esseri minacciosi, aventi
ognuno la sua non meno strana ed umiliante
specialità. Qui, il portafoglio, la fede,
l'orologio, la penna; lì, la maglia, i
pantaloni; là, le mutande, le calze, la
camicia; per ultimo, il nome: ci hanno derubati
di tutto. Poi, il barbiere che ha raso a zero
ogni angolo del corpo, il bagno disinfettante,
la doccia. Infine, l'operazione inversa: a
questo sportello una camicia a brandelli, a
questo delle mutande bucate, a quest'altro dei
pantaloni con le pezze, e così di seguito
fino agli zoccoli e alla striscia con la
matricola, passando per il pastrano logoro o il
camiciotto fuori uso e per il berretto russo o
il cappello da bersagliere. Non ci hanno
restituito né un portafoglio né
una fede né una penna né un
orologio.
-- E come a Chicago,
lascia cadere uno di noi che vuol fare dello
spirito, brandendo il suo numero: all'ingresso
della fabbrica sono maiali, all'uscita carne in
scatola. Qui si entra uomini e si esce
numeri.
Nessuno ha riso: fra il
maiale e il barattolo di Chicago non vi è
certamente una maggiore differenza che fra
quello che eravamo e quello che siamo
diventati.
Quando siamo arrivati
qui, tutto questo primo gruppo, in questa grande
sala chiara, pulita, ben arieggiata, a prima
vista comoda, abbiamo provato come un senso di
sollievo: senza dubbio come Orfeo mentre
risaliva dagli Inferi. Poi, ci siamo lasciati
andare a noi stessi, alle nostre preoccupazioni,
a quella che domina e frena ogni desiderio di
speculazioni interiori e che si legge in tutti
gli occhi:
-- Avremo da mangiare,
oggi? Quando potremo dormire?
Siamo a Buchenwald,
Block 48, Flügel a. Sono le
sei del mattino a occhio e croce. Ed è
domenica, domenica 30 gennaio 1944. Cupa
domenica.
* *
*
Il Block 48 è in
pietra -- costruito in pietra, ricoperto di
tegole -- e contrariamente a quasi tutti gli
altri, che sono in tavolame, comprende un
pianterreno e un primo piano. Latrine e cessi di
sopra e di sotto: ritirata con due grandi vasche
circolari a dieci o dodici posti, e getto
d'acqua ricadente in docce, water closet
con sei posti a sedere e sei in piedi. Da
ciascun lato, comunicanti per mezzo di uno
spazio intermedio, un refettorio
(Ess-Saal) con tre grandi tavole a
cavalletto e un dormitorio (Schlaf-Saal)
che contiene trenta o quaranta cuccette a
castello. Un dormitorio e un refettorio
accoppiati formano un'ala o Flügel: Quattro
Flügel, a e b al pian
terreno, c e d al primo piano. La
costruzione copre da centoventi a centocinquanta
metri quadrati, da venti a venticinque di
lunghezza e sui cinque o sei di larghezza: il
massimo di conforto in uno spazio
minimo.
Ieri, in previsione del
nostro arrivo, il Block 48 è stato
vuotato dei suoi occupanti abituali. Non vi
è rimasto che il personale amministrativo
facente corpo con esso: il
Blockältester o decano, cioè
il capo del Block, il suo Schreiber o
contabile, il barbiere e gli Stubendienst
-- due per Flügel -- o domestici. In
tutto, undici persone. Adesso, subito dopo
l'alba, si va di nuovo riempiendo.
Il nostro gruppo, che
è arrivato per primo, è stato
collocato nello stesso Flügel del capo
Block. Poco alla volta ne arrivano altri. Dei
compatrioti arrestati allo stesso tempo e per la
stessa causa si ritrovano. Le lingue si
sciolgono. Per parte mia, ho ritrovato Fernand
che viene a sedersi accanto a me.
Fernand è un mio
vecchio allievo, un operaio solido e
coscienzioso. Vent'anni. Sotto l'occupazione si
è del tutto naturalmente orientato verso
di me. Abbiamo fatto il viaggio incatenati l'uno
all'altro fino a Compiègne, e già
a Compiègne avevamo costituito un
isolotto simpatico fra i diciassette arrestati
per la stessa faccenda nostra. A dir la
verità, li avevamo piantati: prima di
tutto, c'era quello che si era messo a tavola
all'interrogatorio; poi c'era l'inevitabile
sottufficiale di carriera diventato agente
d'assicurazione e che, decoratosi così
con la Legion d'Onore, aveva stimato
indispensabile alla sua dignità
promuoversi da solo al grado di capitano.
Infine, c'erano gli altri, tutta gente posata e
seria, il cui silenzio e il cui sguardo
rivelavano ad ogni istante la coscienza che
avevano di essersi cacciati in una brutta
faccenda. L'agente d'assicurazione, soprattutto,
ci irritava con la sua megalomania, i suoi modi
magniloquenti, le sue arie saccenti di chi
è nel segreto degli dei e le previsioni
stupidamente ottimistiche delle quali non
cessava di abbeverarci.
-- Vieni, mi aveva
detto Fernand, non è gente che fa per
noi.
A Buchenwald, dove
eravamo arrivati nello stesso vagone, ci siamo
di nuovo aggrappati l'uno all'altro e abbiamo
approfittato di un momento di disattenzione del
gruppo per squagliarcela all'inglese e offrire
una dopo l'altra le nostre persone a quelle che
bisogna pur sempre chiamare le formalità
di registrazione carceraria. Separati un
istante, ci siamo ritrovati insieme
qui.
Alle otto del mattino
non resta più posto per infilare un uovo
intorno alle tavole e le chiacchiere,
così rumorose da disturbare il capo Block
e gli Stubendienst, proseguono alla grande. Si
fanno le presentazioni, si annunciano, al di
sopra delle teste, le une alle altre, le
professioni, accompagnate dai posti occupati
durante la resistenza: banchieri, grossi
industriali, comandanti di vent'anni, colonnelli
appena più anziani, grandi capi della
resistenza che godono tutti la fiducia di Londra
e ne conoscono i segreti, in particolare la data
dello sbarco. Qualche professore, qualche prete,
che si tengono timidamente in disparte. Sono
pochi quelli che si confessano impiegati o
semplici operai. Ognuno vuole avere una
posizione sociale più invidiabile di
quella del suo vicino, e soprattutto vuole
apparire come incaricato da Londra di una
missione della più alta importanza. Le
azioni brillanti non si contano. Le nostre due
modeste persone ne restano
schiacciate.
-- I più bei
fichi del piatto, mi dice sottovoce
Fernand.
In capo ad un quarto
d'ora, veramente disturbati, proviamo una voglia
irresistibile di orinare. Nello spazio che
conduce ai water closet sta svolgendosi una
animata conversazione a cinque o a sei.
Passan-do, sentiamo volare dei
milioni.
-- Dio mio, in che
ambiente siamo capitati?
Al water closet tutti i
posti sono occupati, si fa la fila e siamo
obbligati ad aspettare. Al ritorno, una buona
decina di minuti più tardi, lo stesso
gruppo è sempre allo stesso posto e la
conversazione verte sempre sui milioni. Ora si
tratta di quattordici. Vogliamo una buona volta
capire e ci fermiamo; è un povero vecchio
che dà in lamentele sulle somme favolose
che il soggiorno al campo gli farà
perdere.
-- Ma insomma, signore,
azzardo io, che cosa mai lei fa da borghese per
maneggiare delle somme così? Deve avere
una posizione importante.
Nel dirlo ho preso
un'aria di ammirata commiserazione.
-- Oh, mio caro, non me
ne parli! Questo!
E mi mostra gli zoccoli
che ha ai piedi. Mi manca la forza sufficiente
per trattenermi dallo scoppiare a ridere. Lui
non capisce e ricomincia per me le sue
spiegazioni.
-- Capisce, prima me ne
hanno ordinate mille paia e son venuti a
prenderle senza controllare né il numero
né le fatture. Poi altre mille paia, poi
duemila, poi cinquemila, poi... in questi ultimi
tempi le richieste affluivano. E non
controllavano mai. Allora, ho cominciato a fare
qualche piccolo imbroglio sui quantitativi, poi
sui prezzi. Capirà: quanto più
denaro gli si toglieva, tanto più li si
indeboliva e così si facilitava il
compito agli inglesi. Però, questi
sporchi tedeschi! Un bel giorno, si sono messi a
confrontare le fatture e i resoconti dei loro
incaricati: da quella gente lì c'è
da aspettarsi di tutto. Hanno trovato che erano
stati derubati di una decina di milioni. Allora
mi hanno mandato qui. Direttamente. E senza il
minimo deferimento a giudizio, caro lei. Ma si
rende conto: io, un ladro? Rovinato, sono
rovinato, signore! E senza il minimo passaggio
in giudizio...
E davvero
scandalizzato. Sinceramente, ha l'impressione di
aver compiuto un atto di patriottismo
indiscutibile e di essere, come tanti altri,
vittima di una ingiustizia. Un altro, senza
batter ciglio, attacca subito:
-- Anch'io, sa, ero
economo nella...
-- Dai, vieni, mi fa
Fernand, lo vedi, che roba...
* *
*
I giorni passano. Ci
familiarizziamo, per quanto possibile, con la
nostra nuova vita.
Dapprima impariamo che
siamo qui per lavorare, che molto presto saremo
destinati ad un Kommando (1)
verosimilmente esterno al campo e che allora
partiremo in trasporto». Intanto restiamo
in quarantena tre o sei settimane, a seconda che
si manifesti o no tra noi una malattia
infettiva.
Poi ci si fa prendere
conoscenza del regime provvisorio al quale
saremo soggetti. Durante la quarantena,
proibizione assoluta di lasciare il Block o il
suo cortiletto, il quale, del resto, è
circondato da filo spinato. Tutti i giorni,
sveglia alle quattro e mezza -- in fanfara»
da parte dello Stubendienst, gummi (2) in
pugno, per quelli che potrebbero essere tentati
di indugiare --, toletta a passo di corsa,
distribuzione di viveri per la giornata (gr. 250
di pane, gr. 20 di margarina, gr. 50 di
salsiccia o di formaggio bianco o di marmellata,
mezzo litro di Kaffee-Ersatz (3) non
zuccherato), appello alle cinque e mezza, che
durerà fino alle sei e mezza o le sette.
Dalle sette alle otto, corvée di pulizia
del Block. Verso le undici ci toccherà un
litro di minestra di rape e verso le sedici il
Kaffeetrink. (4) Alle diciotto nuovo
appello che potrà durare fin verso le
ventuno, raramente oltre, ma di solito, fin
verso le venti. Poi a letto. Nel frattempo,
affidati a noi stessi, potremo, seduti intorno
ai tavoli e a patto di non far troppo rumore,
raccontarci le nostre storielle, i nostri
scoraggiamenti, i nostri timori, le nostre
apprensioni e le nostre speranze. In
realtà, da mattina a sera la
conversazione verterà sulla data
dell'eventuale cessazione delle ostilità
e su come avranno fine: l'opinione generale
è che tutto sarà finito tra due
mesi, avendo uno di noi annunciato con
gravità di avere ricevuto un messaggio
segreto da Londra il quale gli dava il principio
di marzo come data certa dello
sbarco.
Progressivamente
Fernand ed io facciamo conoscenza con la nostra
compagnia, pur con riserva e mantenendo le
distanze. In due giorni abbiamo acquistato la
certezza che almeno la metà dei nostri
compagni di sventura non si trovano qui per i
motivi che dichiarano e che, ad ogni modo,
questi motivi non hanno se non una parentela
piuttosto remota con la resistenza: la maggior
parte delle vittime ci sembrano provenire dal
mercato nero.
Ciò che è
più complicato è afferrare il
ritmo del giuoco nel quale siamo appena entrati.
Ogni sera, all'appello, per l'interposta
persona
di un lussemburghese
che sa appena il francese, il capo Block ci fa
molti discorsi chiarificatori, ma... Questo capo
Block è figlio di un vecchio deputato
comunista al Reichstag che fu assassinato dai
nazisti. E comunista, non lo nasconde -- il che
mi sorprende -- e l'essenziale delle sue
concioni consiste nella reiterata affermazione
che i francesi sono sporchi, chiacchieroni,
pigri; che non sanno lavarsi e che quelli che lo
ascoltano hanno la doppia fortuna di essere
arrivati al campo nel momento in cui esso era
diventato un sanatorio e di esser stati
destinati ad un Block il cui capo è un
politico anziché un comune. Non si
può dire che sia un cattivo ragazzo: sono
undici anni che sta dentro e ha assimilato le
abitudini della casa. E raro che colpisca: le
sue manifestazioni di violenza consistono
generalmente in vigorosi Ruhe!» (5)
lanciati nel mezzo delle nostre chiacchiere e
seguiti da imprecazioni nelle quali salta sempre
fuori il crematorio. Lo temiamo, ma ancora di
più temiamo i suoi Stubendienst russi e
polacchi.
Degli altri settori del
campo sappiamo poco o niente, dato che le nostre
investigazioni si limitano ai quattro
Flügel del Block. Abbiamo la sensazione che
intorno a noi si lavori, che il lavoro sia duro,
ma per istruirci sulla sua natura abbiamo
soltanto radio-balle. Invece, arriviamo molto
presto a conoscere ogni angolo e cantuccio del
nostro Block e dei suoi occupanti. C'è di
tutto, qui dentro: avventurieri, gente di
origine e di condizione sociale mal definita,
resistenti autentici, persone serie, come
Crémieux, (6) il procuratore del re dei
belgi, ecc. E inutile dire che Fernand ed io non
proviamo il desiderio di incollarci ad uno
qualsiasi dei gruppi di affinità che si
sono costituiti.
***
La prima settimana
è stata particolarmente penosa. In mezzo
a noi vi sono degli zoppi, dei mutilati di una o
di entrambe le gambe, degli storpi di nascita
che hanno dovuto lasciare all'ingresso i
bastoni, le stampelle o le gambe artificiali
insieme al portafoglio e ai gioielli: si
trascinano a fatica e vengono aiutati, o anche
portati di peso. Vi sono anche dei malati
cronici ai quali sono stati tolte le medicine
che portavano sempre con sé: e quelli,
incapaci di alimentarsi, muoiono a poco a poco.
E poi vi è la grande rivoluzione
provocata in tutti gli organismi dal cambiamento
brutale del cibo e dalla sua tragica
insufficienza: tutti i corpi vanno in
suppurazione, ben presto il Block diventa un
vasto ascesso che medici improvvisati o senza
mezzi curano o fanno finta di curare. Infine,
sul piano morale, incidenti inattesi rendono
ancora più insopportabile la
promiscuità che ci è imposta:
l'economo col grado di colonnello si è
fatto prendere mentre rubava il pane di un
ammalato al quale aveva voluto fare da
infermiere; a proposito della divisione del
pane, una violenta disputa ha visto il
procuratore del re dei belgi opporsi ad un
dottore per la divisione del pane; un terzo, che
girava di gruppo in gruppo ostentando la sua
qualifica di prefetto per dopo la Liberazione,
è stato sorpreso mentre si accingeva ad
effettuare un prelevamento dalla razione comune
al momento dell'arrivo di questa al Block, ecc.
Siamo alla corte dei miracoli.
Tutto ciò
provoca il risveglio dei filantropi: non
c'è corte dei miracoli senza filantropi,
e la Francia, ricca in questo campo, ne ha per
forza di cose esportati qui, e costoro non
domandano altro che di rendere ostensibile e, se
possibile, remunerativa la loro abnegazione. Un
bel giorno gettano uno sguardo pieno di altera
commiserazione su questa massa di uomini vestiti
di stracci, abbandonati a tutte le elucubrazioni
e possibili vittime di tutte le perversioni. Il
nostro livello morale sembra loro in pericolo ed
essi volano in suo aiuto perché in
un'avventura come questa il fattore morale
è essenziale. E così nella vita:
vi sono quelli che pensano al vostro pane, altri
alla vostra libertà e altri ancora al
vostro morale.
Un lionese che si dice
dirigente dell'Effort» (7) -- che
referenze! --, un colonnello, se ben ricordo, un
alto funzionario dell'approvvigionamento, uno
zoppetto che si dice comunista, ma che quelli di
Tolosa accusano di averli consegnati alla
Gestapo quando fu interrogato, organizzano un
programma di canti e di conferenze su vari
argomenti. Fino alla domenica ascoltiamo
un'esposizione sulla sifilide dei cani, un'altra
sulla produzione petrolifera mondiale e
sull'importanza del petrolio dopo la guerra, una
terza sull'organizzazione comparata del lavoro
in Russia e in America; però questi
discorsi non arrivano fino a noi...
Poi, la domenica, dalle
tre alle sei, un programma, con direttore di
scena. Una decina di dilettanti ci hanno dato
dentro, mettendoci ognuno del suo, e così
i sentimenti più diversi sono risaliti
dal fondo dell'animo, le personalità
più diverse si sono affermate: dal
Violino spezzato al Soldato
alsaziano passando al GDV, (8)
Margot resta al Villaggio e Cuore di
Lillà. Si ascoltano anche le facezie
più spinte ed i monologhi più
strambi. Queste buffonate stonano col luogo, col
pubblico, con la situazione nella quale ci
troviamo e con le preoccupazioni che dovremmo
avere: decisamente, i francesi meritano la
reputazione di leggerezza che si sono fatti nel
mondo.
Per finire, un ragazzo
intelligente, bel giovane di vent'anni, canta
con voce calda O piccola Chiesa, di Jean
Lumière, risvegliando in ognuno una
nostalgica umanità.
Je
sais une église au fond d'un
hameau...
e le lacrime salgono
agli occhi di tutti, i visi riprendono aspetti
umani, questi esseri smarriti ridiventano
uomini. Capisco quello che le lent Galoubet
de Bertrandou, le Fifre ancien Berger»
fu per i cadetti di Guascogna di Cirano de
Bergerac.
E, davanti a questa
metamorfosi, perdono ai filantropi e all'istante
voto eterna riconoscenza a Jean
Lumière.
* *
*
La seconda settimana lo
scenario cambia. Vi sono ancora delle
formalità da compiere. Il lunedì
mattina gli infermieri irrompono nel Block con
la siringa in mano: le vaccinazioni. Tutti nudi
nel dormitorio; tornando al refettorio, veniamo
colti al passaggio e vaccinati a catena.
L'operazione si ripete tre o quattro volte ad
intervallo di qualche giorno. Nel pomeriggio
c'è il politische Abteilung --
l'ufficio politico del campo -- che cala su di
noi e procede ad un interrogatorio serrato sullo
stato civile, la professione, le convinzioni
politiche, le ragioni dell'arresto e della
deportazione: questo dura tre o quattro giorni,
a cavallo fra le vaccinazioni e la
corvée di m...
La corvée di
m...: oh, amici miei! Tutti gli escrementi dei
trenta o quarantamila abitanti del campo
convergono in un sotterraneo che fa da fogna.
Dato che nulla deve andar sprecato, tutti i
giorni un Kommando speciale sparge la preziosa
sostanza su orti che dipendono dal campo e
producono legumi per le SS. Da quando i convogli
stranieri affluiscono a getto continuo, i
detenuti tedeschi che sono alla direzione
amministrativa del campo hanno pensato bene di
far fare questo lavoro ai nuovi arrivati: per
loro questo fa le veci della tradizionale burla
che viene fatta alle reclute nelle caserme
francesi e la cosa li diverte moltissimo. Questa
corvée è quanto mai penosa: i
detenuti, attaccati due a due a una
trague (9) (serbatoio di legno a forma di
piramide tronca con base rettangolare),
contenente la cosa, girano in tondo, dal
serbatoio ai giardini, come cavalli da circo,
per dodici ore consecutive, nel freddo, nella
neve, e la sera, rientrano al Block sfiniti e
maleodoranti.
Un giorno ci viene
annunciato che, pur senza essere per questo
destinati a un Kommando, il nostro Block doveva
fornire ogni mattina e ogni pomeriggio, per
tutto il resto della quarantena, una
corvée di pietre. Il capo Block ha deciso
che, invece di inviare gruppi di cento uomini
che si darebbero il cambio lavorando dodici ore
di fila, ci sarebbe meno faticoso andarci tutti,
vale a dire in quattrocento, e restare fuori
soltanto due ore per ogni servizio. Tutti sono
d'accordo.
Da quel giorno in poi,
tutte le mattine e tutte le sere sfiliamo
attraverso il campo per recarci allo
Steinbruch -- la cava di pietra -- dove
prendiamo una pietra il cui peso è in
proporzione alle nostre forze: la riportiamo al
campo ad altri che, lavorando a squadre, la
rompono per farne della breccia e poi rientriamo
al Block. Questo lavoro è leggero, specie
se paragonato a quello di chi lavora nella cava,
all'estrazione della pietra, sotto le ingiurie e
i colpi dei Kapò -- K.A.Po.,
abbreviazione di Konzentrantionslager
Arbeitpolizei o Polizia di controllo del
lavoro. Quattro volte al giorno passiamo in
prossimità delle ville dove corre voce
che Léon Blum, Daladier, Reynaud, Gamelin
e la principessa Mafalda, figlia del re
d'Italia, siano guardati a vista. Tutti
invidiamo la sorte di questi privilegiati. Ogni
volta che passiamo sento fare delle
riflessioni:
-- I lupi non si
mangiano fra di loro!
-- A seconda che sarete
potenti o miserabili...
-- I pezzi grossi, caro
mio, ti fanno crepare per loro e poi si fanno
l'un l'altro le gentilezze!
-- Le leggi razziali di
Hitler si applicano a tutti gli ebrei meno che a
uno. (10)
Eccetera.
Nelle nostre file vi
è un ex primo ministro del Belgio, un ex
ministro francese e altri ancora, più o
meno notevoli.Costoro sono più
mortificati di noi per il trattamento di cui
godono gli abitanti delle ville. Si sente dire
che hanno ognuno due stanze, la radio francese,
i giornali tedeschi e stranieri, che fanno tre
pasti per giorno. E si ha la certezza che non
lavorano. Léon Blum è oggetto di
particolare invidia. Il caso ha voluto che in
uno dei viaggi Fernand ed io, che non ci
lasciamo mai, ci trovassimo a fianco del
ministro francese:
-- Perchè, ci
dice, Léon Blum no e io
sì?
Dall'inflessione della
sua voce abbiamo capito che non trovava affatto
strano come noi fossimo adibiti a quei bassi
lavori da schiavi: ma lui, lui, un ex
ministro!
Fernand alza le spalle,
io sono perplesso.
Un altro giorno, invece
di condurci alla corvée di pietre,
veniamo condotti al servizio di antropometria,
dove ci debbono fotografare (di faccia e di
profilo) e prendere le impronte digitali.
Individui grossi e grassi, ben pasciuti, anche
se detenuti al pari di noi, con al braccio
l'insegna di un'autorità qualsiasi e con
in mano il gummi che la giustifica, ci urlano
alle spalle. Davanti a me camminano il dottor
X... e lo zoppetto comunista che è nelle
grazie del capo Block e che agli occhi dei
francesi passa per il suo uomo di fiducia.
Ascolto la conversazione. Il dottor X..., del
quale tutti sanno che, nel suo dipartimento, fu
in varie riprese candidato dell'UNR (11) al
Consiglio generale o in altre elezioni, spiega
allo zoppetto che lui non è comunista, ma
neanche anticomunista, tutt'altro: la guerra gli
ha aperto gli occhi e forse, quando avrà
avuto tempo di assimilare la dottrina... Da due
giorni si parla di un possibile trasporto a Dora
e il dottor X... comincia a darsi da fare per
poter rimanere a Buchenwald. Che
miseria!
Ad un tratto, ecco che
mi colpisce un formidabile pugno: assorto nelle
riflessioni nate dalla conversazione, dovevo
essere uscito un po' dalla fila. Mi giro e
ricevo in pieno viso una valanga d'ingiurie in
tedesco nelle quali distinguo Hier ist
Buchenwald, lumpe. Schau mal, dort ist
Krematorium». (12) E tutto quello che
saprò sulle ragioni del pugno. Ma, quasi
per spiegarmi quanto fosse giustificato, lo
zoppetto si è girato verso di
me:
-- Potevi stare
attento. Quello è Thälmann!
(13)
Arriviamo all'ingresso
della costruzione per l'antropometria. Un altro
personaggio con bracciale e gummi ci sistema
brutalmente in fila contro la parete. Questa
volta è lo zoppetto a ricevere un pugno e
a venir coperto di ingiurie. Passata la bufera,
si gira verso di me:
-- Da quel...
lì, non mi stupisce: è
Breitscheid. (14)
Non sento minimamente
il bisogno di verificare l'identità dei
due energumeni. Mi limito a sorridere pensando
che hanno finalmente realizzata
quell'unità d'azione di cui hanno parlato
tanto prima della guerra, e ad ammirare l'acuto
senso delle sfumature che lo zoppetto possiede
fin nei suoi riflessi.
***
Sono un pessimista, o
almeno passo per tale.
Prima di tutto, mi
rifiuto di prendere per oro colato le notizie
ottimistiche che Johnny riporta ogni sera al
Block. Johnny è un negro. L'ho visto la
prima volta a Compiègne, dove l'ho
sentito raccontare con accento americano assai
marcato che era capitano di una fortezza volante
e che, essendo stato colpito il suo apparecchio
durante un'incursione su Weimar, aveva dovuto
gettarsi col paracadute.
Arrivato a Buchenwald,
si è messo a parlare correntemente il
francese e si è spacciato per medico.
Parla altre due lingue suppergiù bene
come il francese: il tedesco e l'inglese. Grazie
a questa superiorità, alla sua
immaginazione e ad un'indiscutibile cultura,
riesce a farsi destinare come medico
all'infermeria prima ancora che la quarantena
sia finita. I francesi sono convinti che non sia
medico più di quanto sia capitano di
fortezza volante, ma s'inchinano davanti alla
maestria con la quale ha saputo
sistemarsi.
Tutte le sere Johnny
è circondatissimo: l'infermeria passa per
essere il solo posto dal quale possano giungere
le notizie sicure. Perciò, nonostante
goda fama di millantatore, tutti lo prendono sul
serio quando parla degli avvenimenti di guerra.
Una sera torna con la rivoluzione a Berlino,
un'altra con una sollevazione di truppe sul
fronte orientale, un'altra ancora con lo sbarco
degli alleati a Ostenda o con la presa in
consegna dei campi di concentramento da parte
della Croce Rossa Internazionale, ecc. Johnny
non è mai a corto di buone notizie, ed
esse fanno sì che, nel febbraio del '44,
l'opinione generale sia che fra due mesi la
guerra sarà finita. Egli mi stanca, e mi
stancano pure gli altri con la loro
credulità. A coloro che mi si attaccano
con la certezza che Johnny ha saputo trasfondere
loro ho preso l'abitudine di rispondere che, per
parte mia, ero persuaso che la guerra non
sarebbe finita prima di due anni.
Del resto, dato che io
sono fra i rarissimi che non avevano mai creduto
alla caduta di Stalingrado se non, per
così dire, quando l'hanno toccata con
mano, e dato che dopo l'ho anche confessato,
vengo subito classificato.
Infatti, accolgo tutto
con incrollabile scetticismo: i più
raffinati orrori che si raccontano sul passato
dei campi, le supposizioni ottimistiche sul
futuro comportamento delle SS che sentono, si
dice, passare sulla Germania il vento della
disfatta e che vogliono riscattarsi agli occhi
dei vincitori, le voci rassicuranti sulla nostra
destinazione.
Nego perfino ciò
che pare l'evidenza stessa, la famosa iscrizione
che si trova sul cancello di ferro battuto che
chiude l'ingresso al campo. Un giorno, andando
alla corvée di pietre, ho letto: Jedem
das Seine, e i rudimenti di tedesco che
possiedo mi hanno fatto tradurre: A ognuno il
suo destino. Ma tutti i francesi sono
persuasi che è la traduzione del celebre
verso che Dante pone all'ingresso dell'Inferno:
Lasciate ogni speranza, o voi,
ch'entrate. (15)
E il colmo e io sono un
miscredente.
* *
*
Il Block è
suddiviso in due clan: da una parte i
nuovi arrivati, dall'altra gli undici individui,
capo Block, Schreiber, Friseur e
Stubendienst, germani o slavi, che ne
costituiscono l'armatura amministrativa, e una
specie di solidarietà che fa tabula
rasa di tutte le opposizioni, di tutte le
differenze di condizioni o di concezioni, unisce
comunque nella riprovazione i primi contro i
secondi. Questi ultimi, che sono dei detenuti
come noi, ma che lo sono da più tempo e
che si sono appropriati di tutte le astuzie
della vita penitenziaria, si comportano come se
fossero i nostri veri padroni, dominandoci con
l'ingiuria, la minaccia e il bastone. Ci
è impossibile non considerarli come
agenti provocatori o come fedeli lacchè
delle SS. Mi rendo finalmente conto di quello
che sono gli Chaouchs, (16) preposti
delle prigioni e fiduciari degli ergastoli, dei
quali fa menzione la letteratura francese sui
reclusori di ogni tipo. Da mattina a sera i
nostri, il petto in fuori, si vantano del potere
che hanno di mandarci al crematorio al minimo
sgarro e con una sola parola. E, sempre da
mattina a sera, come tutti vedono e sanno,
mangiano e fumano quello che rubano
sfrontatamente sulle nostre razioni: litri di
zuppa, tartine di margarina, pasticcio di patate
alla cipolla e alla paprika. Non lavorano. Sono
grassi. Ci ripugnano.
In questo ambiente, ho
fatto la conoscenza di Jircszah.
Jircszah è ceco.
E avvocato. Prima della guerra fu assistente del
sindaco di Praga. La prima operazione dei
tedeschi quando presero possesso della
Cecoslovacchia fu arrestarlo e deportarlo. Sono
quattro anni che si trascina nei campi. Li ha
conosciuti tutti: Auschwitz, Mauthausen, Dachau,
Oranienburg... Un banale incidente lo ha salvato
due anni fa e lo ha riportato a Buchenwald, in
un convoglio di ammalati. Al suo arrivo, uno dei
suoi compatrioti gli ha trovato un posto di
interprete generale per gli slavi. Spera di
conservarlo fino alla fine della guerra, che non
crede molto prossima, ma che tuttavia sente
finalmente avvicinarsi. Vive con gli Chaouchs
del Block 48 che lo considerano come uno dei
loro, ma egli ci dà subito delle prove
che ce lo fanno considerare uno dei nostri:
distribuisce le sue razioni e si procura dei
libri che poi ci presta.
E la prima volta che
Jircszah prende contatto con i francesi. Li
guarda con curiosità. Anche con
compassione: dunque, sono questi i francesi? E
questa la cultura francese di cui gli hanno
parlato tanto al tempo degli studi? E deluso,
non riesce a capire.
Il mio scetticismo e il
modo con cui mi tengo quasi sistematicamente al
di fuori della vita rumorosa del Block fanno
sì che si avvicini a me.
-- E questa la
resistenza?
Non rispondo. Per
riconciliarlo con la Francia, gli presento
Cré-mieux.
Non approva certo il
comportamento degli Chaouchs, ma neanche ne
è scandalizzato e nemmeno li disprezza:
fanno agli altri quello che è stato fatto
a loro.
-- Ho visto di peggio,
dice. Non bisogna domandare agli uomini troppa
immaginazione nella via del bene. Quando uno
schiavo si mette i galloni senza uscire dalla
sua condizione, diventa più tiranno dei
suoi stessi tiranni.
Mi racconta la storia
di Buchenwald e dei campi.
-- C'è molta
verità in tutto ciò che si dice
sugli orrori di cui essi sono teatro, ma
c'è anche molto di esagerato. Bisogna
tener presente il complesso della menzogna di
Ulisse che è proprio di tutti gli uomini,
e perciò di tutti gli internati.
L'umanità ha bisogno del meraviglioso nel
male come nel bene, nel brutto come nel bello.
Ognuno spera e vuole uscire dall'avventura con
l'aureola del santo, dell'eroe o del martire, e
ognuno ricama sulla propria odissea senza
rendersi conto che la realtà basta
già ampiamente di per se
stessa.
Non nutre odio per i
tedeschi. Secondo lui, i campi di concentramento
non sono specificamente tedeschi e non mettono
in rilievo istinti che siano peculiari al popolo
tedesco.
-- I campi -- i
Lagers, com'egli dice -- sono un fenomeno
storico e sociale per il quale passa ogni popolo
che arriva alla nozione di nazione e di Stato.
Se ne sono conosciuti nell'antichità, nel
medioevo, nei tempi moderni: perché
vorreste che l'epoca contemporanea faccia
eccezione? Molto tempo prima di Cristo, gli
egiziani non trovavano se non questo mezzo per
rendere gli ebrei inoffensivi per la loro
prosperità, e fu soltanto grazie ai
concentrazionari che Babilonia conobbe il suo
meraviglioso apogeo. Gli inglesi stessi vi
ricorsero con gli infelici boeri, dopo Napoleone
che aveva inventato Lambessa. Attualmen-te ve ne
sono in Russia che non hanno nulla da invidiare
a quelli tedeschi, ve ne sono in Spagna, in
Italia e anche in Francia: lei incontrerà
qui degli spagnoli e sentirà cosa le
diranno, per esempio, del campo di Gurs, in
Francia, dove essi furono internati all'indomani
del trionfo di Franco.
Azzardo
un'osservazione:
-- Però, in
Francia, fu per spirito umanitario che si
raccolsero i repubblicani spagnoli, e non mi
risulta che subissero maltrattamenti.
-- Anche in Germania
è per spirito umanitario. I tedeschi,
quando parlano di questa istituzione, usano la
parola Schutzhaftlager, che significa
campo di detenuti protetti. Al momento del suo
arrivo al potere, il nazionalsocialismo, in un
gesto di mansuetudine, ha voluto mettere i suoi
avversari in condizione di non potergli nuocere,
ma ha voluto anche proteggerli dalla collera
pubblica, metter fine agli assassinî
all'angolo della strada, rigenerare le pecorelle
smarrite e riportarle ad un più sano
concetto della comunità tedesca, del suo
destino e del ruolo che ognuno ha nel suo seno.
Ma il nazionalsocialismo è stato superato
dagli avvenimenti e soprattutto dai suoi stessi
agenti. E un po' la storia dell'eclissi di luna
che viene raccontata nelle caserme. Un giorno il
colonnello dice al comandante che ci sarà
un'eclissi di luna e che i graduati dovranno far
osservare il fenomeno a tutti i soldati e
spiegarglielo. Il comandante trasmette l'ordine
al capitano e la notizia arriva al soldato
tramite il caporale, sotto questa forma: Per
ordine del colonnello, questa sera alle ore 23
avrà luogo un'eclissi di luna; tutti
coloro che non vi assisteranno saranno messi
agli arresti per quattro giorni.»
Così è dei campi di
concentramento; lo stato maggiore
nazionalsocialista li ha ideati, ne ha fissato
il regolamento interno che dei vecchi
disoccupati illetterati fanno applicare dagli
Chaouchs reclutati fra di noi. In Francia, il
governo democratico di Daladier aveva concepito
il campo di Gurs e ne aveva fissato il
regolamento: l'applicazione di questo era
affidata a gendarmi e a guardie mobili le cui
facoltà di interpretazione erano molto
limitate. E il cristianesimo che ha introdotto
nel diritto romano il carattere umanitario che
è conferito alla punizione e che le ha
assegnato come primo scopo da raggiungere la
rigenerazione del delinquente. Ma il
cristianesimo ha fatto i suoi conti senza
considerare la natura umana, che non può
arrivare alla coscienza di se stessa se non su
un fondo di perversità. Mi creda, ci sono
tre categorie di persone che restano sempre le
stesse, ognuna nel suo genere, in tutti i tempi
della storia e sotto tutte le latitudini: i
poliziotti, i preti e i soldati. Qui abbiamo a
che fare con i poliziotti.
Evidentemente, abbiamo
a che fare con i poliziotti. Io ho avuto pratica
soltanto di quelli tedeschi, ma spesso ho letto
e sentito dire che quelli francesi non si
distinguevano certo per una particolare
dolcezza. Mi ricordo che a questo punto del
discorso di Jircszah ho evocato il caso
Almazian. (17) Ma Almazian era coinvolto in un
delitto comune, mentre noi siamo dei politici. I
tedeschi, però, non sembrano fare alcuna
distinzione fra detenuto comune e detenuto
politico, e questa promiscuità degli uni
e degli altri nei campi...
-- Andiamo, mi dice
Jircszah, mi pare che lei dimentichi come fu
proprio un francese, un intellettuale del quale
la Francia è fiera, un fine letterato, un
grande filosofo, Anatole France, che un giorno
scrisse: Sono per la soppressione della pena di
morte in materia di diritto comune e per il suo
ripristino in materia di diritto
politico.»
Prima della fine della
quarantena, poiché le SS non
intervenivano mai nella vita vera e propria del
campo, il quale, quindi, sembrava abbandonato a
se stesso, padrone delle sue leggi e dei suoi
regolamenti, ero persuaso che Jircszach avesse
in gran parte ragione: il nazionalsocialismo, le
SS erano tornati a questo modo classico di
coercizione e i detenuti lo avevano essi stessi
reso ancora peggiore.
Abbiamo discusso
insieme di altri problemi, specialmente di
quello relativo alla guerra e al dopoguerra.
Jircszah era un borghese democratico e
pacifista:
-- L'altra guerra
divise il mondo in tre blocchi rivali, mi
diceva: gli anglosassoni capitalisti
tradizionali, i sovietici e la Germania, e
quest'ultima si appoggiava al Giappone e
all'Italia: ce n'è uno di troppo. Questo
dopoguerra conoscerà un mondo diviso in
due, la democrazia dei popoli non ci
guadagnerà nulla e la pace non
sarà meno precaria. Essi credono di
battersi per la libertà e che
l'Età dell'Oro nascerà dalle
ceneri di Hitler. Sarà terribile, dopo:
gli stessi problemi si porranno a due
anziché a tre, in un mondo che
sarà materialmente e moralmente rovinato.
Aveva ragione Bertrand Russel al tempo della sua
giovinezza coraggiosa: Nessuno dei mali che si
pretende di evitare con la guerra è tanto
grande quanto la guerra stessa.»
Io condividevo
quest'opinione, e anche rincaravo su di
essa.
In seguito, ho pensato
spesso a Jircszah.
* *
*
10 marzo, ore quindici:
un ufficiale SS entra nel Block, adunata nel
cortile.
-- Raus, los! Raus,
raus! (18)
Siamo in partenza e le
formalità stanno per cominciare. Da circa
otto giorni si sussurrava di questo
trasferimento e le supposizioni erano le
più diverse: a Dora, dicevano gli uni, a
Colonia per sgomberare le macerie, salvare il
salvabile e recuperare ciò che ancora
rimaneva di utilizzabile, dicevano gli altri. E
quest'ultima supposizione a prevalere: i bene
informati fanno l'ipotesi che adesso lo stato
maggiore del nazionalsocialismo, sentendo
perduta la partita, lasci cadere il Kommando di
Dora, considerato come l'inferno di Buchenwald,
e non vi mandi più nessuno. Aggiungono
che, adibiti ormai ai lavori pericolosi di
sgombero delle macerie, saremo trattati bene. E
vero che correremo in ogni momento il rischio
dello scoppio di una bomba, ma mangeremo a
sazietà prima con la razione del campo e
poi con quello che troveremo nelle cantine,
delle quali alcune sono piene di
cibarie.
Noi non sappiamo che
cosa sia Dora. Finora nessuno di coloro che vi
sono stati mandati ne è tornato. Si dice
che sia un'officina sotterranea in perpetuo
stato di assestamento e nella quale si
fabbricano armi segrete. Ci si vive dentro, ci
si mangia, ci si dorme e ci si lavora senza mai
andare all'aperto. Tutti i giorni arrivano dei
camion stracarichi di cadaveri che vengono
riportati a Buchenwald per esservi cremati, ed
è da quei cadaveri che si deducono gli
orrori del campo. Per fortuna, non andremo
laggiù.
Ore sedici: siamo
sempre in piedi davanti al Block, nella
posizione di Stillgestanden (19) sotto
gli occhi della SS. Il capo Block passa nelle
file, ne fa uscire un vecchio, uno zoppo e gli
ebrei. Crémieux, che riunisce in
sé queste tre condizioni, è del
numero. Anche lo zoppetto, e altre figure che
non appartengono né ai vecchi né
agli zoppi né agli ebrei, ma di cui tutti
sappiamo che, essendosi fatti passare per
comunisti, o essendolo realmente, sono nelle
buone grazie del capo Block.
Ore sedici e trenta: si
va verso l'infermeria per la visita di
sanità -- è un modo di dire, la
visita di sanità. Un medico SS fuma un
enorme sigaro, sprofondato in una poltrona: gli
passiamo davanti, in fila indiana, nemmeno ci
guarda.
Ore diciasette e
trenta: marcia verso l'Effektenkammer
(20): ci rivestono a nuovo, pantaloni, giacca et
cappotto rigati, scarpe ad hoc (in cuoio,
con suole di legno) per sostituire gli zoccoli,
poco adatti al lavoro.
Ore diciotto e trenta:
appello, che dura fino alle ventuno. Prima di
coricarci abbiamo ancora da cucire i nostri
numeri sui capi di vestiario che ci sono stati
or ora consegnati, a sinistra, all'altezza del
petto, par la giacca e il cappotto, sotto la
tasca destra per i pantaloni.
11 marzo, ore quatro e
trenta: sveglia. Ore cinque e trenta: appello
fin verso le dieci. Oh, quegli appelli! In marzo
nel freddo, piova o tiri vento, restare ore e
ore in piedi a farsi contare e ricontare! Questo
è un appello generale di tutti coloro, a
qualsiasi Block appartengano, che sono stati
designati per il trasferimento e ha luogo sul
piazzale dell'appello, davanti alla
torre.
Alle undici, la
zuppa.
Alle quattordici, nuovo
appello che dura fino alle diciotto o alle
dicianove: abbiamo perso la nozione del
tempo.
12 marzo: sveglia come
al solito, appello dalle cinque e mezzo alle
dieci. Appello, sempre appello. Ci vogliono far
impazzire. Alle quindici lasciamio
definitivamente il Block 48 et dopo una sosta di
qualche ora sul piazziale veniamo diretti al
Block del cinema dove trascorriamo la notte, i
più fortunati a sedere, la maggioranza in
piedi.
La mattina seguente,
sveglia alle tre e trenta, un'ora prima del
solito. Veniamo condotti sotto la torre et
lì aspettiamo, in piedi, nella notte, nel
freddo, a stomaco vuoto fin dalle undici del
giorno precedente, di essere imbarcati. Fra le
sette e le otto, saliamo sui vagoni.
Viaggio senza storia:
ci sentiamo a nostro agio e chiaccheriamo. Tema:
dove si va? Il treno prende la direzione
dell'ovest: a Colonia, ci siamo: abbiamo vinto!
Alle sedici circa, il treno si ferma in aprta
campagna, in una speccie di stazione di
smistamento dove, sotto la neve e sguazzando nel
fango, dei disgraziati, smunti, spochi vestiti
di stracci che sono rigati come i nostri vestiti
nuovi, scaricano dei vagoni, scavanno delle
canalizzazioni e sgombrano la terra di scavo.
Altri uomini con bracciali e numeri, ben vestiti
e pieni di salute, li incorragiano con la
minaccia, con l'ingiuria et con il gummi.
Proibizione di rivolger loro la parola. Passando
accanto a loro, se per caso si trovano fuori
della portata di ogni sorveglianza, rischiamo
delle domande a voce quanto più bassa
possibile:
-- Dì, dove
siamo qui?
-- A Dora, caro mio,
non hai finito di cag...
Fernad ed io, che si
teniamo con la mano, ci guardiamo. Soltanto con
difficoltà avevamo creduto
all'ottimistica voce di Colonia. Ma egualmente
ci assale un grande scoramento, ci cadono le
braccia, sentiamo l'ombra della morte passare
sopra di noi.
NOTE
1. Squadra di
lavoro.
2.Frustino di gomma.
3. Surrogato.
4. Bevanda di caffè.
5. Calma!
6. Scrittore francese di origine ebraica. Fece
conoscere Pirandello in Francia. Rassinier,
tacciato di antisemitismo da messeri più
o meno illustri quali Pierre Vidal-Naquet,
Florent Brayard, ecc. -- gente il cui nome
è una garanzia di scrupoloso giudizio --
lo presenterà al ceco Jircszah per
indurre quest'ultimo a ricredersi sul conto dei
francesi [ndt].
7.
Giornale
collaborazionista che usciva a Lione sotto
l'occupazione tedesca, diretto dall'ex deputato
socialista ed ex ministro Charles Spinasse
[ndt].
8. Canzone antimilitarista francese; con
l'espressione Gue
u
les de
Vaches si indicavano gli ufficiali.
Poiché era stata proibita, accadde che
sovversivi perseguiti per averla cantata si
giustificassero sostenendo che le iniziali
G.D.V., che erano state sostituite
all'espressione surriferita, stavano per
Gradés de Valeur
[ndt].
9. Dal tedesco tragen = portare.
10.
Riferimento a
Blum [ndt].
11. Union Nationale Républicaine,
formazione francese di destra scioltasi con la
guerra
[ndt].
12. Qui siamo a
Buchenwald, canaglia.Guarda, là
c'è il crematorio.
13.Segretario del Partito comunista tedesco
all'avvento di Hitler.Ucciso in campo di
concentramento [ndt].
14. Segretario del Partito socialdemocratico
tedesco all'avvento di Hitler
[ndt].
15. Nel maggio 1945, subito dopo la mia
liberazione, quando mi trovavo ancora in
Germania e sulla via del ritorno, ho sentito una
conversazione radiofonica, fatta da un deportato
-- Gendrey Retty, se ricordo bene -- che dava
questa traduzione. Così nascono le
favole.
16. Espressione del gergo carcerario francese;
indica i guardiani incaricati di assicurare
l'ordine nelle case di pena. E parola di origine
turca [ndt].
17.
Caso che fece epoca
nella Francia prebellica. Si tratta di un tale
che, seviziato dalla polizia, che gli imputava
un assassinio, finì per dichiararsi
colpevole; al processo i metodi della polizia
vennero rivelati e l'accusato vide riconosciuta
la sua innocenza [ndt].
18. Fuori, via!Fuori, fuori!
19. Sull'attenti.
20. Magazzino di vestiario.
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