L'espansionismo di Israele
La ragione della politica espansionistica di Israele e' una: conquistare tutto il territorio che corrisponde alla ideologia sionista. Puo' sembrare assurdo al giorno d'oggi che un paese possa conquistare dei territori con la forza, eppure e quanto e' avvenuto con Israele, il cui territorio e' circa 5 volte quello previsto dalla spartizionebdell'ONU del 1947. D'altronde, finche' Israele afferma di essere lo stato di "tutti gli ebrei del mondo", deve prevedere di ospitare i 10/15 milioni di ebrei che ancora non vi sono immigrati, preferendo stare nei loro vari paesi di appartenenza.I dirigenti israeliani spiegano le loro conquiste territoriali con il fatto che Israele ha bisogno di "frontiere sicure". Se si pensa che oggi Israele occupa la Cisgiordania, la striscia di Gaza, il Golan siriano e quasi meta' del Libano, oltre naturalmente quella parte della Palestina che le Nazioni Unite avevano assegnato ai palestinesi, il meno che si puo' dire e' che e' davvero curioso sostenere che si vogliono "frontiere sicure" invadendo i propri vicini annettendosi i loro territori con la forza.
Questa posizione di Israele, in realta, e' un'ulteriore conferma di quanto abbiamo gia' visto prima: Israele non vuole la pace. Ha scelto la guerra permanente.
Nato con la violenza, il nuovo stato si mantiene vivo continuando ad esercitarla. Israele tende a difendere nella zona gli interesse occidentali e ad opporsi ad ogni cambiamento di regime all'interno degli stati arabi, essa si offri' volentieri come base di appoggio agli U.S.A. e agli inglesi, quando questi intervennero in Libano e i Giordania per impedire la formazione di governi democratici (1958). Israele aveva tentato una vasta azione di espansione verso Gaza e il Sinai, ai danni dell'Egitto, dove si era da poco instaurata una dirigenza nazionalista e anti feudale guidata da Nasser. In tale occasione (1956) pur operando di concerto con la Francia e l'Inghilterra (mirante a stabilire il controllo sulla compagnia del Canale di Suez nazionalizzata da Nasser), gli israeliani si erano dovuti ritirare per l'intervento delle due "superpotenze". Nel contempo, lungo tutto l'arco degli anni '60 compiva continui raids offensivi contro la Siria dove il partito Baas aveva nazionalizzato le proprieta' petrolifere occidentali. Prima ancora che Israele difenda le potenze capitalistiche deve difendere ogni governo arabo reazionario ed impedire il sorgere di governi arabi autonomi rispetto alle forze capitalistiche.
Di fronte all'avvento di regimi nazionalisti in Siria e in Irak e prima ancora dell'Egitto, Israele non poteva non reagire. La risposta fu la "guerra dei sei giorni".
Nel giugno del 1967, mentre una campagna internazionale di stampa aveva presentato aU'Europa e all'America una Israele minacciata di sterminio Israele sfrutta la situazione e grazie alla sua enorme superiorita' aerea e tecnologica, attacca gli stati arabi ed opera una seconda invasione nel Sinai, anzi continua la guerra anche dopo che gli stati arabi hanno accettato la tregua procedendo ad occupare tutta la linea orientale del Canale di Suez, la fertile Cisgiordania e le strategiche alture del Golan siriano. Ed inizia subito una "Seconda colonizzazione ebraica" e contemporaneamente l'esodo dei palestinesi, costretti per la seconda volta in venti anni ad abbandonare tutto agli israeliani. La "guerra dei sei giorni", lungi dall'essere difensiva, risulto concepita solamente come primo momento del piano di espansione sionista. Alla "guerra lampo" seguì immediatamente la creazione di postazioni di difesa agricolo-militari. S'inizia su vasta scala, lo sfruttamento del petrolio nel Sinai, si ignora il carattere internazionale di Gerusalemme, infine il ministro del Lavoro annuncia che: "la attuali frontiere sono irrinunciabili".
La "guerra dei sei giorni" mette a nudo la deliberata crudelta' che caratterizza l'offensiva israeliana. Oltre all'impiego sistematico delle bombe al napalm contro i territori arabi, la cosa piu' sconcertante e' la sorte riservata ai civili palestinesi, interi villaggi sono fatti saltare in aria, gli abitanti incitati a fuggire, oppure cacciati a forza, deportati.
Il 18 giugno 1967, dieci giorni dopo la presa di Gerusalemme, il Parlamento israeliano adotta una legge che autorizza il governo israeliano a estendere la legislazione alla parte orientale della citta' santa e decreta "l'indivisibilita di Gerusalemme". Questa annessione, condannata da due risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalle proteste internazionali, ha significato nella pratica l'espulsione di migliaia di abitanti palestinesi e la costruzione di una vera e prop ria cintura di insediamenti israeliani allo scopo di tagliare fuori Gerusalemme dal suo ambiente arabo. Nel gennaio del 1968 incominciarono gli espropri: piu di 2.000 ettari di terra vengono tolti ai proprietari, con le buone o con le cattive: chi rifiuta l'evacuazione viene cacciato. Quasi nessun proprietario accetto' il compenso finanziario offerto.
Dopo aver modificato il contesto demografico, sociologico e culturale di Gerusalemme, il Parlamento israeliano ha completato la sua opera votando, il 30 luglio 1980 una legge che fa di "Gerusalemme intera e unificata, la capitale di Israele". Contraddicendo quel carattere confessionale che fa di Gerusalemme il centro spirituale di tutte le religioni.
La questione palestinese
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