La Kabala e il Talmud: lo strano esoterismo ebraico
Da IL GOVERNO MONDIALE EBRAICO
di Dagoberto Huseyn Bellucci
(Capitolo 5)
All’indomani della distruzione del Tempio di Gerusalemme, come abbiamo visto, si aprì il capitolo forse più triste e il momento più delicato nella storia dell’ebraismo. Il problema più rilevante per i capi religiosi del Sinedrio fu quello di mantenere una rigida ortodossia nel rispetto della legge mosaica per l’insieme delle distinte comunità che vivevano disperse nei confini dell’Impero di Roma e oltre. Avvenne in questo periodo che i farisei, rimasti liberi di imporre la loro ferrea volontà, incominciarono a richiedere ai loro dottori della Legge di mettere per iscritto quelle che, fino a quel momento, erano state delle disposizioni di natura orale, trasmesse di maestro in maestro, nell’ambito del rabbinato fondamentalista. Accadde allora che i rabbini iniziarono a compilare dei trattati, o meglio i loro studi basati su loro interpretazioni della Legge mosaica. Per dare risposte il più chiare possibile ai nuovi problemi derivati dalla situazione di diaspora verificatasi e soprattutto riguardo ai precetti da seguire in circostanze ritenute eccezionali (come appunto l’abbattimento del Tempio) questi rabbini si impegnarono dunque a dare al loro popolo una serie di codici di natura legislativa che, riuniti assieme, avrebbero preso il nome ebraico di Talmud, lo Studio della Legge.All’inizio questo imponente manoscritto di cavilli legislativi e di interpretazioni ossessionanti della Legge mosaica era costituito dai 6 codici della “Mishnah” i quali si occupavano di agricoltura (zeraim), delle feste (moed), delle purificazioni (tohorot), del matrimonio (nasim), del diritto civile e penale (nezikim) e di quello religioso (kodaschim). A questa prima serie di codici si aggiunse, più tardi, una nuova compilazione di studi denominata “Ghemarah” che in ebraico significa Commento. I Talmud, in effetti, furono compilati in maniera sostanzialmente distinta, in periodi diversi, da più interpreti della Legge, il primo nato nell’area babilonese, l’altro in area palestinese. “Bisogna premettere – scrive l’ebreo Saracini – che il Talmud si divide in due parti: la prima – la Mishnah - è una serie di deliberazioni legali concernenti l’applicazione dei diversi precetti biblici; la seconda – la Ghemarah - è una specie di resoconto delle interminabili discussioni fra i dotti sia sui precetti biblici che sulle deliberazioni della Mishnah“.(1°)
Dopo diverse dispute teologiche i rabbini si sarebbero messi d’accordo per ritenere il Talmud di Babilonia come il più ortodosso e conforme alla loro strategia volta ad isolare il popolo eletto dal rischio di contaminazioni e di assimilazioni con altri popoli, introducendo semplici interpretazioni teologiche che sarebbero ben presto diventate Legge a tutti gli effetti. Nella prima metà del II secolo d.C. si verificò una nuova ribellione giudaica in seno alla provincia palestinese dell’Impero romano. A mobilitare e infiammare i cuori (e armare le mani) degli ebrei fu stavolta Simone Bar Kohbà, proclamato Messia d’Israele dal rabbino estremista Akiba e adorato dal suo popolo proprio perché incarnazione più attinente alle speranze messianiche che raccontavano della venuta di un “Unto del Signore” guerriero e combattente alla testa di Israele per il suo trionfo finale. In occasione dell’insurrezione armata di Bar Kohbà, i giudei si organizzarono militarmente dotandosi di una strategia rivoluzionaria mirante la creazione di più focolai di rivolta, sparsi in tutta la Palestina, per mettere in difficoltà sia i romani sia la possibilità di resistenza delle altre comunità dell’area. Attaccando con autentici blitz terroristici villaggi e cittadine di media grandezza i giudei arrivarono a sterminare quasi completamente sia le popolazioni samaritane che quelle siriache causando non meno di 100mila vittime.
“Sotto il regno di Adriano – scrive lo storico ebreo Barnet Litvinoff – agli inizi del secolo II° compare in Giudea un eroe nazionale: conosciuto col nome di Bar Kochebah – probabilmente un soprannome “Figlio della Stella” -, questi incoraggiò la credenza, alimentata dal capo spirituale degli ebrei Rabbi Akiva, che con lui fosse finalmente arrivato il vero Messia. I primi padri della Chiesa, facendo propria una descrizione dello storico romano Dione Cassio (secolo II), dipingono Bar Kochebah come un assassino a capo di bande armate, in effetti nell’impresa della riconquista della Palestina non mancò di perseguitare i cristiani perché evitavano di battersi e, si asserisce, li fece circoncidere a forza“.(2°)
Nell’anno 135 d.C. infine, dopo tre anni di rivolte più o meno estese, gli ebrei vennero schiacciati definitivamente dalle truppe dell’imperatore Adriano che, con un successivo decreto, proibì loro di risiedere in Palestina. Nella nuova sollevazione armata gli ebrei persero un qualcosa come circa 500mila uomini, il chè – unitamente ai molti sterminati da Tito poco più di mezzo secolo prima – costrinse nuovamente la classe dirigente rabbinica a rivedere le loro interpretazioni della Legge e le proibizioni ed i precetti del Talmud soprattutto in materia di conversioni e di proselitismo. Astutamente, com’era avvenuto “ad contraris”, ai tempi della cattività babilonese, i rabbini si misero febbrilmente al lavoro per rivedere certi codici dichiaratamente esclusivisti tornando ad accettare, in determinati casi, le conversioni di massa alla Legge di Mosè.(3°)
Questa ambiguità di fondo, questo continuo correggere e rivedere la Legge alla luce delle circostanze contingenti appariranno come una costante nella storia d’Israele. Facilmente influenzabili e guidabili dalla casta religiosa gli ebrei, da sempre, si muoveranno con una furbizia ed una astuzia fuori dal comune, aderendo in maniera scostante e talvolta contraddittoria alla propria religione, adattandone spesso ritualità, costumi e usi a altre forme di religiosità di altri popoli o assimilando all’ebraismo persino idee-base fondamentali per lo sviluppo, se non per l’esistenza stessa d’Israele. E’ il caso dei notevoli influssi che ebbe la religione mazdea, praticata nell’antica Persia, sulle comunità ebraiche, le quali non disdegnarono di assimilarne riti magici e superstizioni ma anche dogmi portanti di vitale importanza quali ad esempio il principio del dualismo escatologico, dell’esistenza del Bene e del Male, di un Dio positivo (Ahura Mazda) e di un suo rivale negativo (Angrja Mainyu) fino a quel momento assolutamente estranei alla visione escatologica del popolo eletto.
Le nuove disposizioni in materia di conversioni alla fede mosaica furono comunque piuttosto ininfluenti, sia perché nel frattempo un’altra religione monoteista (quella cristiana) muoveva i primi passi sia perché furono assai poche le nazioni – soprattutto all’interno dell’Impero di Roma – che riponevano fiducia negli ebrei. L’unico caso, realmente più unico che raro, di conversione di massa fu quello del popolo dei khazari del quale torneremo a parlare successivamente. Comunque possiamo affermare che anche la conversione dei khazari avvenne per motivi strettamente collegati alla debolezza di Israele in quel determinato periodo storico: i neoconvertiti abili guerrieri sarebbero risultati utilissimi alla strategia del Sionismo. Nel frattempo, dispersi per ogni dove, gli ebrei cercarono di dare soluzione alle loro disgrazie, trasferendo la sede del Gran Sinedrio dapprima a Bisanzio, sotto l’ala più tollerante della cristianità orientale, quindi a Cordoba in Spagna quando questa cadde in mano alle armate islamiche. L’avvento dell’Islam nella seconda metà del VI° secolo d.C. rappresentò per l’ebraismo internazionale una nuova sconfitta, poiché dalle aride e desertiche terre dell’Hejaz arabico un altro popolo, dopo i cristiani, pretendeva di parlare e soprattutto combattere in nome del Dio Unico, rinnovando l’antico patto stretto da Dio con la nazione araba per il tramite del Profeta Muhammad.
Una simile pretesa non soltanto offendeva profondamente lo spirito ebraico ma risultò una velenosa spina nel fianco e determinò in breve tempo un’ennesima debacle sul piano politicomilitare e su quello teologico-spirituale. Autorevoli storici ebrei hanno sostenuto l’idea di un’anti-ebraismo insito nella tradizione e nella storia dell’Islam, fra questi Leon Poliakov autore di una poderosa “Storia dell’Antisemitismo” pubblicata in Italia dalla casa editrice La Nuova Italia, inserendo la dicotomia amico-nemico pre-esistente tra ebraismo e cristianesimo sul piano dei rapporti tra ebraismo e Islam. In realtà se per il cristianesimo tradizionale il popolo ebraico in quanto tale viene accusato di “deicidio” per l’assassinio di Gesù – Figlio della ss. Trinità, per l’Islam il discorso potrebbe meritare un distinguo relativamente al dato storico che furono gli ebrei di Mecca e Medina che, assieme ai politeisti, si distinsero per tutta una serie di atti riprovevoli e di iniziative dichiaratamente avverse nei confronti dell’Islam, del Suo Profeta Muhammad e della comunità islamica in embrione.
“In una fase iniziale della sua carriera come governatore di Medina, il Profeta entrò in conflitto con le tribù ebraiche - scrive lo studioso orientalista Bernard Lewis -. Tutte e tre furono sopraffatte e, secondo la tradizione mussulmana, a due fu concessa la scelta fra conversione o esilio, e alla terza i Banù Qurayza, fra la conversione e la morte. L’amarezza causata dall’opposizione delle tribù ebraiche a Maometto si riflette nei riferimenti agli ebrei, per lo più negativi, contenuti nel Corano, nella biografia e nelle tradizioni relative al Profeta“.(4°)
Certamente durante la loro avanzata verso l’Europa gli arabi mussulmani avrebbero trovato una tenace resistenza, anche militare, da parte delle tribù berbere del Nord Africa convertitesi al Giudaismo.
“Quando l’Islam conquistatore - scrive il Poliakov – cominciò a dilagare in queste zone, il litorale cristiano fu rapidamente sommerso, mentre le tribù berbere giudaizzate opposero agli arabi una lunga e tenace resistenza. La loro principale roccaforte fu il massiccio dell’Aures, propizio in ogni epoca ai ribelli. Erano comandate da una donna, regina e profetessa, di nome Kahena. Secondo lo storico Ibn Adhari, il Gen. arabo Hassan, dopo aver distrutto Cartagine, chiese quale fosse il capo più potente in Africa: “E’ una donna di nome El Kahena – gli viene risposto – che vive sull’Aures, tutti i re d’Ifrikya la temono, e tutti i Berberi le obbediscono. Una volta uccisa lei potrai sottomettere tuto il Maghreb e non troverai più né rivalità né resistenza“.(5°)
Gli ebrei come sottolinea nitidamente il Corano, Libro Increato perché parola Divina Rivelata, diverranno pertanto i principali avversari, i nemici escatologici dei mussulmani, coloro per i quali l’Altissimo ha promesso il fuoco della Gehenna nel Giorno del Giudizio Finale. Ritorneremo senza dubbio in maniera compiuta sulle relazioni islamo-ebraiche nei prossimi capitoli, al momento crediamo utile soffermarsi in maniera più completa sulla dottrina e la visione del mondo della Kabala, l’autentico esoterismo ebraico, un esoterismo – come si vedrà – di “segno” contrario.
Note al Capitolo 5°:1° Eugenio Saracini – “Breve Storia degli Ebrei e dell’Antisemitismo”, edizioni Mondadori, Milano, 1992.
2° Barnet Litvinoff – “Il Roveto Ardente – Storia dell’Antisemitismo”, edizioni Mondadori. Milano, 1988.
3° Sulla conversione in massa dei Khazari, l’unico esempio rintracciabile negli ultimi duemila anni di adesione di massa alla religione mosaica, esiste l’ottimo volume di Arthur Koestler “The Thirteenth Tribe” edizioni Omni Publications. Pamdale (CA) Stati Uniti, 1976.
4° Bernard Lewis – “Gli Ebrei nel Mondo Islamico” edizioni Sansoni” Firenze, 1991.
5° Leon Poliakov “Storia dell’Antisemitismo”, “Da Maometto ai Marrani” Volume II° – edizioni La Nuova Italia. Firenze, 1991.
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(Capitolo 5)
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Di Dagoberto Huseyn Bellucci, 2002 (1,2 MB)
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